15 gennaio 2009

La grande beffa della social card

In Italia dove quasi tutto sembra sul punto di essere privatizzato, essere poveri (anzi, meno abbienti, per essere politically correct) è motivo di umiliazione e sofferenza, che va ben oltre la fatica di arrivare a fine mese.
"E' anonima naturalmente per non creare imbarazzo" fu il commento del premier al momento del lancio. Ipse dixit. Una delicatezza inappuntabile verso tutti coloro che si trovano a vivere con poco o niente proprio in un paese che si definisce "ricco". Peccato solo che tanta delicatezza - grazie alla tortosità della burocrazia italiana - si sia risolta in una nuova umiliazione per i potenziali beneficiari della carta, e in un inaspettato beneficio a favore dei religiosi che hanno fatto voto di povertà. Ma andiamo con ordine e partiamo con la puntata di Mi manda Rai Tre che ha sollevato il polverone (ma già da settimane alcuni organi d'informazione avevano evidenziato l'assurdo iter per abilitare la tessera).

La signora anziana presenta la carta e si sente rispondere che è vuota. E gli occhi le si riempiono di lacrime anche a distanza di tempo, semplicemente rievocando quella spiacevole vicenda. Tanto "per non creare imbarazzo", diceva qualcuno.
In effetti a tutti è capitato, almeno una volta nella vita, di trovarsi senza contanti e con un bancomat smagnetizzato, o rigato, o scaduto. Magari qualche occhiataccia della commessa è pure capitata. Però ben pochi si sono sentiti domandare "è una social card?", rispondendo alla quale avrebbero subito svelato il proprio reddito.
Il titolo del post è farina (stantia) del mio sacco. E' il classico titolo quasi "preconfezionato" che il redattore frettoloso, svogliato o privo d'idee estrae dal cilindro. E fa comunque la sua porca figura in pagina. Magari non è il massimo dell'originalità.
E infatti anche Repubblica titola "La grande beffa della social card
Una su tre è senza soldi"
. Ma l'articolo è di certo più ispirato e merita di essere letto con attenzione. Riporto alcuni passaggi.
La tessera di Tremonti è di un bel azzurro sereno. Come il cielo di Forza Italia, quello di una volta. Un tricolore ondulato la attraversa da sinistra a destra e sembra la scia delle mitiche frecce. "E' anonima naturalmente per non creare imbarazzo", commentò Silvio Berlusconi il giorno dell'inaugurazione della campagna dei 40 euro mensili ai bisognosi d'Italia. Anonima. Infatti ieri, supermercato Sma di Roma, commessa indaffarata alla cassa, signore anziano in fila: "Ha per caso la social card?". Il no è asciutto e risentito. "Scusi, ma era per capire come pagava".
Lusy Montemarian non ha pagato, anzi è scoppiata in un pianto dirotto quando le hanno comunicato, come fa il medico alla famiglia del congiunto morente, che non ce l'aveva fatta. Un pianto raccolto da una microtelecamera di "Mi manda Raitre" e unito ad altri pietosi casi. Un mattone sull'altro, e un altro ancora. Alla fine si edifica questo incredibile muro della vergogna che attraversa la penisola e la trafigge senza colpa.
[...]
Migliaia di italiani si sono ritrovati in mano una patacca. Una carta azzurra, di plastica, con il retro magnetico, il numero, il logo giallo e rosso della Mastercard. Belle, eccome. E di valore: si stima costi almeno 50 centesimi l'una, più 1 euro per la ricarica bimestrale, più il 2 per cento per le spese del circuito bancario. Uno scherzetto da 8 milioni e 500mila di euro, a pieno regime. Una lotteria per il mezzo milione di italiani che, soltanto alla cassa e davanti al commesso, saprà se la sua carta annonaria è buona oppure è uno scherzo del destino, se può permettere di fare la spese oppure di annunciare la propria povertà a tutti.

Duecentomila tessere vagano scoperte di tasca in tasca, sospese o respinte. Duecentomila italiani, forse di più, le possiedono senza poterle utilizzare. Alcuni (pochi) lo sanno. Altri, molti altri, che non sanno, vanno incontro alla sciagura.

8 milioni e 500mila di euro. Mica bruscolini. Per delle tessere che forse hanno aiutato pochi, di sicuro hanno beffato e umiliato molti. Ne valeva davvero la pena? Già nella sua formula iniziale era apparsa alquanto discutibile (cos'è, un accordo economico con mastercard? Perché per dare 40 euro al mese agli indigenti si poteva anche fare una piccola integrazione alla pensione, o mandare un assegno con raccomandata. Di sicuro si poteva trovare una via meno macchinosa) ma nella resa effettiva è degna della casa che rende folli di Asterix.

Ma alla fine qualcuno è riuscito a beneficiare della social card?
Parrebbe di sì.
Dall'Arena.it
Potremmo definirlo un effetto collaterale della Social Card. Chissà, infatti, se i cervelloni del ministero al momento di ideare la versione elettronica della vecchia tessera del pane, avevano pensato che una fetta consistente dei beneficiari sarebbe stata composta da... religiosi.
Il sospetto ad alcuni veronesi è venuto quando, in questi giorni a scavalco dell'anno, hanno notato che negli uffici postali c'erano moltissime suore anziane e un buon numero di frati in là con gli anni. Non è una scena usuale. Di solito, difatti, nell'organizzazione dei conventi c'è sempre una persona che - come nelle caserme - s'incarica di svolgere certi compiti, come quelli che richiedono di recarsi in posta, anche per tutti gli altri, basta avere in mano una delega. Ma a ritirare la Social Card bisogna andare di persona, ed ecco quindi le file. E sono tanti perché la maggior parte delle congregazioni religiose chiede ai propri appartenenti di fare voto di povertà e quindi essi risultano nullatenenti e privi di reddito, rientrando di fatto nelle categorie previste dalle norme.
«È vero», conferma da Venezia Patricia Da Rin, della Direzione comunicazione e relazione esterne del Triveneto di Poste italiane, «a Verona sono particolarmente numerosi perché c'è una grossa presenza di istituti religiosi. Dai dati che abbiamo sono oltre 300 le suore e i frati che hanno già ottenuto la Carta d'acquisto recandosi negli uffici postali della città a ritirarla dopo aver ricevuto la comunicazione dal ministero. Di questi più di 60 sono quelli che hanno fatto capo agli sportelli della sede centrale di piazza Isolo. Ma il dato più curioso», conclude, «è che una piccola sede come Castelletto di Brenzone ne ha liquidate da sola più di 50».
Nel paese lacustre, è noto, c'è l'istituto delle Piccole suore della Sacra Famiglia, che ospita molte sorelle anziane.

E vabbé. La Chiesa costa allo Stato italiano 4 miliardi di euro all'anno. Se si prendono anche delle briciole degli 8 milioni e 500mila di euro destinati ai poveri, non si può certo gridare allo scandalo. L'importante è che vengano investiti nel modo giusto...

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