14 gennaio 2009

Lo speciale Ansa su De André

Il sito dell'Ansa ha dedicato a Fabrizio de André uno splendido speciale in ricordo del decennale della sua morte. Cito i pezzi più significativi per evitare che, tolto il link, spariscano anche i contenuti.
'Tra 10 anni saro' immortale o dimenticato'. Faber, nelle sue parole
FABER, LO CHIAMO' PAOLO VILLAGGIO
Faber è il soprannome che gli ha dato Paolo Villaggio, suo amico di infanzia.

LA PAURA DEL PALCOSCENICO
Fino agli anni ’70 Fabrizio De André non si è esibito in pubblico. Quando le pressioni da parte della sua casa discografica per farlo andare in concerto divennero troppo pressanti, lui chiese un compenso volutamente esagerato, convinto di ottenere un netto rifiuto. Il produttore accettò senza battere ciglio e così cominciò la sua carriera live.

IL SODALIZIO CON LA PFM
Nella buona novella, l’album del 1970 suonano I Quelli, la band destinata a diventare la Premiata Forneria Marconi, la Pfm, con la quale nel 1979 e nel 1980 realizzò due tour trionfali registrati su due live di grande successo.

LA CAMPAGNA
“Dell’infanzia ricordo soprattutto la casa di campagna di mia nonna, una cascina: allora le vacanze estive duravano quattro mesi e, a parte quindici giorni di mare, che avevamo sotto, le passavamo tutte in campagna, con mio grande piacere. Lì ho assorbito tutto l’amore, che poi mi è rimasto, per la campagna, la natura, gli animali e la cultura Contadina”

DALL'UNIVERSITA' A MARINELLA
Ho fatto un po’ di tutto: ho frequentato un po’ di medicina, un po’ di lettere e poi mi sono iscritto seriamente a legge dando, se non mi sbaglio, 18 esami. Quasi laureato dunque […] poi ho scritto Marinella, mi sono arrivati un sacco di quattrini e ho cambiato idea […] dopo che Marinella l’aveva cantata Mina, eravamo nel ’65, io ero sposato da tre anni e lavoravo negli istituti privati di mio padre […]. Lavoravo lì non sapendo cos’altro fare, visto che di laurea non se ne parlava perché stentavo molto a studiare, insomma questa Canzone di Marinella, me la canta Mina, mi arrivano 600 mila lire in un semestre (somma davvero considerevole per quegli anni). Allora mi sono licenziato, ho preso armi e bagagli, moglie, figlio e suocero e ci siamo trasferiti in Corso Italia, che era un quartiere chic di Genova […]. Da quel momento ho cominciato a pensare che forse le canzoni m’avrebbero reso di più e soprattutto divertito di più.

CUOCO PER HOBBY, AGRICOLTORE SUL SERIO
Oltre alla musica, le grandi passioni di De André erano la cucina e l’agricoltura che, dopo aver messo su l’azienda agricola dell’Agnata, era diventata la sua principale attività. Ai fornelli era molto bravo e amava curare I pasti per I suoi ospiti in tutti I dettagli dall’antipasto ai vini. .”Fare il cantautore può essere tuttosommato un hobby per il fine settimana. Quello dell’agricoltore invece è un lavoro che ti dà più spazio, che ti consente di guardare al futuro in maniera più tranquilla. Chissà perché, ma mi sento più serio in questa mia nuova veste”.

LA GUERRA
“Le canzoni contro la Guerra le facevo a 19 anni. Ma certe cose si giustificano o come un impulso giovanile o come un modo per fare quattrini perché il prodotto si vende. E’ per questo che mi sono rivolto ad altri temi. Perché 19 anni non li ho più e seguire la moda per fare quattrini mi ripugna”.

PAROLE E MUSICA
“Occorre superare la concezione della canzonetta che si muove entro dimensioni espressive troppo anguste. L’opera d’arte è qualcosa di molto più complesso. E poi c’è il problema del rapporto tra testo e musica. Normalmente si tende a dare più importanza al testo che non alla melodia. Io stesso musicalmente sono alquanto scarso, come per molti altri autori le mie canzoni devono la loro attrattiva ai versi e al loro contenuto particolare”.

GESU', UN ANARCHICO CONVINTO DI ESSERE DIO
“Fu grazie a Brassens che scoprii di essere un anarchico. Furono I suoi personaggi miserandi e marginali a suscitarmi la voglia di saperne di più. Cominciai a leggere Bakunin, poi da Malatesta imparai che gli anarchici sono dei santi senza Dio, partendo da questa scoperta ho potuto permettermi il lusso di parlare anche di Gesù Cristo, prima in “Si chiamava Gesù” e poi in “La buona novella” e oggi mi viene il dubbio che anche lui non fosse che un anarchico convinto di essere Dio”.

IL DEBITO CON BRASSENS
“Forse più che agli chansonnier francesi in generale devo pagare il mio tributo al solo Brassens. Poi I poeti maledetti francesi, di cui Cecco Angelieri era un nonno. Loro sono la forma, hanno rivoluzionato il modo di scrivere, hanno inventato tecniche nuove, come ha fatto il Surrealismo. Parlo di tecniche pur non conoscendo altro che le tecniche rudimentali. Breton insegnava a prendere una lettera, liberare la mente e poi da quella lettera, come nelle libere associazioni di Freud, scrivere quello che viene in mente. Ci ho provato ma venivani fuori delle stronzate allucinanti. Però amo la ricerca dei termini, la scelta degli aggettivi, resto sempre abbagliato dalla bravura in questo senso di Gesualdo Bufalino, per esempio. Credo che in ciascuno di noi ci sia un elemento di vritusismo, di funambolismo verbale”.

IMMORTALE O DIMENTICATO
“Tra dieci anni le mie canzoni non esistono pù nemmeno nella memoria. Tra dieci anni ho inventato qualcosa di grosso, di immortale che adesso non mi passa nemmeno per la testa oppure ho una barca e navigo il mondo mentre la mia famiglia campa di rendita. Io non sono affatto un protestatore. Vabbé, Morandi è uno che sa cantare e che ha le sue idee: eppure non si vergogna per niente di sottoscrivere Zingara, accetta il suo personaggio. Anch’io accetto il mio personaggio. E’ colpa mia se Fabrizio De André corrisponde a un personaggio che non si lascia ingoiare dai fabbricanti di canzoni?”.


Non batté ciglio quando seppe del tumore
di Enrico Marcoz

AOSTA - "La morte verrà all'improvviso, avrà le tue labbra e i tuoi occhi, ti coprirà di un velo bianco addormentandosi al tuo fianco...". Nel 1967 Fabrizio De André, ad inizio carriera, raccontava così la Morte nell'omonima canzone inserita nell'album 'Volume I'. La sua, forse, se l'era immaginata diversa. Magari nella tenuta in Sardegna, davanti al mare, in età avanzata. La prospettiva di avere ancora poco da vivere gli è invece piombata addosso all'improvviso, in un'afosa giornata di fine estate, a soli 58 anni. Era il 25 agosto 1998. Quella sera doveva suonare a Saint-Vincent, tappa del tour estivo. Un improvviso e acuto dolore alla spalla e alla cervicale lo aveva portato all'ospedale di Aosta.

La diagnosi provvisoria: 'Due costole incrinate, una forma di 'nevrité alle articolazioni superiori e un'infiammazione al braccio sinistrò. Visita in pronto soccorso e poi in sala raggi. Già la prima lastra alla spalla non aveva lasciato dubbi, evidenziando una grossa massa nel polmone. Il giorno dopo la Tac aveva confermato i peggiori sospetti. "Non ha battuto ciglio - raccontano i sanitari valdostani - quando gli abbiamo spiegato che aveva un tumore, non ha detto nulla. E' rimasto impassibile, senza reazioni". Dopo un'iniezione antidolorifica era rientrato a Genova. "...la morte va a colpo sicuro non suona il corno né il tamburo...".

De André e la morte, un rapporto che si è sviluppato attraverso decine di canzoni-poesie. Da 'La guerra di Piero' (Ninetta bella dritto all'inferno/avrei preferito andarci d'inverno), alla 'Canzone di Marinella' (E lui che non ti volle creder morta/bussò cent'anni ancora alla tua porta), da 'La ballata del Miche'' (Stanotte Miché si è impiccato ad un chiodo perché/non poteva restare 20 anni in prigione lontano da te) al 'Cantico dei drogati' (E soprattutto chi e perché mi ha messo al mondo/dove vivo la mia morte con un anticipo tremendo?). E poi 'La domenica delle salme', 'Il pescatore', l'intero album 'Non al denaro non all'amore né al cielò.

La morte nelle sue parole era quasi sempre violenta e tragica, insensata, un vero e proprio strappo dalla vita. Ma a volte anche tenera come in 'Fiume Sand Creek' (...ora i bambini dormono sul letto del Sand Creek...). Gli ultimi sei mesi della vita Fabrizio De André li trascorse a combattere la malattia, "come un guerriero" raccontò il figlio Cristiano, dentro e fuori l'Istituto per tumori di Milano. Sulle sue condizioni era stato steso un velo di riserbo da amici e parenti. Lui stesso aveva dichiarato alla stampa di soffrire di un problema congenito che gli aveva provocato delle ernie al disco. Riservato e schivo come sempre. Prima un miglioramento, poi la ricaduta fatale. La morte è arrivata nella notte dell'11 gennaio 1999, alle 2.30. Vicino a sé la moglie Dori Ghezzi e i figli Cristiano e Luvi. "...davanti all'estrema nemica non serve coraggio o fatica, non serve colpirla nel cuore, perché la morte mai non muore".

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