25 luglio 2009

Giappone, tra utopie animate e realtà

Sto guardando un video-collage dei migliori cosplay made in Japan. E' sempre divertente vedere fin dove possono spingersi i fan più organizzati. Una dimostrazione che gli anime/manga sono oggetti di culto, quasi una religione, non semplici passatempi per ragazzi. Mi domando se per le strade giapponesi sfilino spesso persone mascherate da Sailor Moon o da Lady Oscar. Del resto, dopo le ragazzine così kawai da causare alla loro apparizione conati a tutti obiettori del rosa shocking, le divine gothic lolita e le multiformi Harajuku Girls, ci si può aspettare tranquillamente che un giapponese vestito da Hello Spank cammini senza dare nell'occhio tra le strade di Tokyo. Dopo la visita del team di Jackass (con l'imbarazzante Party Boy a mostrare natiche a destra e a manca) penso che sia difficile stupire gli abitanti della metropoli.
A Milano l'altro giorno un gruppetto di gothic lolite ha "sfilato" in via Torino. Devo dire che davano nell'occhio. In Giappone non credo. Nell'immagine che ho io del Giappone (e che spero di conservarmi a lungo) donne in abiti tradizionali e ragazzine vestite come una cameriera inglese dell'Ottocento convivono pacificamente, magari sorridendo sotto i baffi (o con la vezzosa manina davanti alla bocca) per l'altrui abbigliamento.
In realtà non mancano occasioni perché la realtà mi rovini questa patinata immagine del Giappone, elaborata in anni e anni di rimbecillimenti da anime anni Settanta e Ottanta (qualcuno è pronto a dirmi che nelle periferia di Tokyo non c'è una pensione di due piani in legno come la Maison Ikkoku?).
La vita nelle città giapponesi dev'essere abbastanza caotica e... affollata. E' risaputo che le case sono estremamente piccole, i prezzi dei metri quadri nelle città raggiungono cifre astronomiche e quindi gli spazi vitali si riducono. Dev'essere difficile essere claustrofobico in Giappone. Io ad esempio non riuscirei mai a passare la notte in una tiny room, i sarcofagi non sono il posto che prediligo per riposare...

Sono così indaffarati che mandano bebé di riso ai parenti, in attesa di trovare il tempo per portargli il neonato vero in visita.
Non parliamo poi della metropolitana. Se esistesse una scala di misura dell'affollamento (fino al limite dell'umana tolleranza, ovvero appena prima della perdita di coscienza per asfissia, esasperazione o fumenti da sagra dell'ascella imbarazzata), il livello ultimo dovrebbe chiamarsi "Tokyo, ora di punta". Basta fare una breve ricerca immagini per capire che nelle metropolitane giapponesi si diventa per forza di cose "intimi".
E qui arriviamo a un nuovo problema, quello delle molestie. Già negli anni '20 erano stati istituiti dei treni "rosa": gli "Hanadensha", o "Flower trains", riservati alle sole donne, per eliminare il problema degli sguardi insistenti e sfacciati degli uomini. I tempi però sono cambiati e gli uomini sembrano non accontentarsi più di guardare e non toccare. Negli anni '80 i flower trains hanno fatto la loro ricomparsa, questa volta per limitare i palpeggiamenti facilitati dal sovraffollamento. Coloro che approfittano della folla per molestare le donne sui mezzi pubblici vengono chiamati "Chikan". Nel 2007 (spero che l'anno sia corretto) dei 1.897 casi di crimine commessi nella metropolitana di Tokyo, 1.886 erano denunce per molestie sessuali su carrozze affollate. Questo è il video da cui ho tratto questi dati (e ho dato un nuovo significato alla parola "affollamento").

Ma perché mi sono trovata a scrivere un post sul Giappone? Come dicevo all'inizio, stavo riflettendo sui cosplay e sugli abiti-costumi tanto cari ad alcune ragazzine nipponiche. Mi sono ritrovata a leggere un titolo davvero curioso (e datato):
Giapponesi travestiti da distributori automatici
. Mi sono subito immaginata ragazzine kawaii che abbandonano le gonnelline puffose e colorate per vestirsi da macchina distributrice di caramelle o di ovetti Hello Kitty. Invece no. E' una difesa contro le aggressioni (non così frequenti in Giappone ma sufficienti a generare ansia crescente tra le ragazze più emancipate).



L'inventrice si chiama Aya Tsukioka (nella foto mentre si "trasforma") e ha detto di essersi ispirata alla tecnica mimetica dei ninja. In effetti le donne vengono molestate perché vengono notate. Alle donne che girano sole di notte viene spesso consigliato di "camuffarsi", rendersi il meno femminili possibile (anche sputando a tempo perso sul pavimento) e soprattutto essere anonime. Trasformarsi in un distributore di bibite è solo il passo successivo (la Coca Cola pagherà lo spazio pubblicitario?).
E per le mamme giapponesi che temono per l'incolumità dei pargoli? C'è la versione "buca delle lettere", che però copre ben poco...

La versione per bambini dev'essere ispirata al mimetismo detto "del gatto domestico", che nasconde la testa, lasciando completamente esposto corpo e coda, ma si crede ugualmente "invisibile". La soluzione "baby" mi sembra davvero discutibile: una cassetta della posta munita di gambe, jeans e scarpe da ginnastica farebbe fermare anche il passante più distratto...
Queste e altre chicche (come l'improponibile borsa-tombino) le trovate in questa gallery del New York Times dal titolo Urban Camouflage.

Il problema delle aggressioni ha di nuovo intaccato la mia utopia Giappone, facendolo decadere a Paese reale, coi suoi disservizi, i suoi debiti, i suoi problemi di convivenza e i suoi crimini.
Però, a pensarci bene, anche le ombre di questa nazione hanno un retrogusto dolce e inaspettato: a chi potrebbe venire in mente, se non a un giapponese, di travestirsi da distributore automatico per sfuggire a un molestatore?

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